Il Comune di Santo Stefano è uno dei Comuni della Val Comelico che è quella che definiamo un’area interna: ha un alto indice di spopolamento, soffre una distanza dai servizi in ogni senso, sanità compresa (qui, chissà perché non vale la norma della golden hour, il tempo minimo di sicurezza per raggiungere un ospedale).

Il comune vive quindi tutte le criticità di essere marginale ed è al contempo un’area molto bella dal punto di vista paesaggistico. Io ho lavorato e voglio lavorare molto in questo senso, seguendo lastrategia nazionale delle aree interne. Ma aldilà di immaginare un futuro per questi territori, abbiamo bisogno anche di fare un lavoro culturale. Questi nostri territori marginali e montani patiscono una certa chiusura. Esempio perfetto dalle nostre parti riguarda il discorso sui migranti: la cooperativa che gestiva l’accoglienza, con le nuove prescrizioni del decreto Salvini, non ha più voluto gestirla. Qui l’accoglienza era diffusa ed era anche utile dal punto di vista dell’apertura culturale.

Vorrei continuare a lavorare, mettere in rete le realtà marginali e collegarsi Santo Stefano di più al resto del Paese. Vorrei ricordarlo, la condizione di Santo Stefano riguarda aree marginali in montagna e non solo, sono tanti i comuni che si trovano nella nostra condizione. E se vogliamo farli vivere, dobbiamo occuparcene, non lasciarli al loro isolamento. Poi vengono turismo e sviluppo locale.

Ma aprirci un po’ è necessario e fondamentale per guadagnare un futuro: i giovani devono essere accompagnati in un discorso culturale di apertura mentre il rischio è il contrario. Complice l’isolamento e il momento politico che stiamo vivendo che parlano alla pancia delle persone.

Farlo, proprio a causa della situazione odierna, non è facile: bisogna trovare la chiave giusta per ampliare le vedute delle persone partendo dai temi che sono sentiti. Far acquisire la consapevolezza di vivere in un territorio meraviglioso che però si colloca in un mondo più ampio. Ma senza strappi eccessivi: il contesto è difficoltoso e occorre andare in punta di piedi.

Qui abbiamo davvero tutti un problema di garanzia di alcuni diritti di base.

Una donna che vive in una delle frazioni isolate del paese può metterci un’ora e mezza di auto per raggiungere la sala parto. E questo se tutto va bene, se non c’è troppa neve o se non è un weekend di quelli trafficati dal rientro dei turisti.

Qui non abbiamo un’ambulanza medicalizzata e neppure il volo elicottero notturno. E c’è una pediatra di base perché dopo 15 anni di bandi andati a vuoto, una dottoressa ha deciso di lasciare la città è venire a vivere in montagna. Abbiamo un medico grazie alla scelta di vita di una persona, non perché il SSN lo garantisce. Direi che la garanzia di un presidio salvavita è davvero la prima delle cose per cui battersi.

Parliamo di altri servizi: serve un asilo nido. Non ce n’è uno e l’asilo è una condizione perché le giovani famiglie possano rimanere qui a vivere e le donne possano andare a lavorare.

Stesso tema per il disagio psichiatrico: abbiamo un alto tasso di suicidi e manca un supporto qualsiasi sul territorio. Il rilancio delle aree interne passa anche da qui, dalla possibilità che si possa vivere una vita normale e che chi vive in queste aree così belle non venga spinto ad andarsene o a compiacersi del proprio isolamento.

Intervista di Marco Micicchè e Martino Mazzonis a Alessandra Buzzo, candidata con Uniti per il Comune a Santo Stefano di Cadore (Belluno). Qui trovi tutte le info.